Molte volte le attese son positive: pensate un po’ a una madre che sta per partorire…
Altre invece sono eterne, snervanti, come, per esempio, la fila alle poste.
Altre ancora sono da brividi, da ansia, da tachicardia e nausea. Parlo dei minuti prima di un esame.
C’è un tipo di attesa, invece, che ti porta alla delusione, alla malinconia, alla tristezza. Sono le attese vane.
Porto sempre a esempio quella sensazione che provi quando incontri una persona che non vedi da tanto tempo, con cui hai condiviso un’amicizia, una situazione particolarmente lieta o triste, un amore; insomma, un individuo con il quale siete legati, nel bene o nel male. Ecco, capita di incontrarlo, di scambiare due falsissime chiacchiere, di promettere di andare a bere un caffè. Ma lo si sa, quel caffè insieme non lo si berrà mai! Eppure dà un certo senso di tranquillità, come se la coscienza fosse soddisfatta di essersi riempita la pancia di aria e panna montata, rifiutando, finchè può, un piattone di pasta al sugo, o una bella bistecca fiorentina.
C’è un rimedio per il terzo tipo di attesa? Sapete come si può ingannare l’infinito? Questo è un problema un po’ metafisico, un po’ matematico.
Ma una soluzione certa non ce l’ha.
Ognuna di voi sa, perchè ognuna di voi vive o ha vissuto questo tipo di situazione.
Dite che è ricollegata al fatto che essere se stessi non paga? Che è meglio fingere? Che è meglio stare celati sotto una maschera, qualsiasi essa sia? La maschera di pizzi e di merletti; quella di plastica bianca; quella nera di zorro – con annessa la parrucca bionda?- ; quella di Topolino… E chi più ne ha più ne metta!
Un mesetto fa, circa, scrissi un post su quanto fosse corretto, in mia opinione, gettare le maschere, considerando che carnevale è finito da un pezzo; ma la controparte goliardica che c’è in me mi spinge a chiedere a voi tutte, cortesemente, di celare i vostri volti, di tenere il ventaglio tra naso e bocca e di interpretare il ruolo assegnatoci dal regista. Già. Chi è il regista della nostra vita? Talvolta siamo noi stessi, ma altre volte no; altre volte tocca agli altri, a chi ci circonda, a chi ci sta vicino, svolgere il ruolo del regista.
L’unica cosa che ci rimane da fare, in effetti, è decidere se vogliamo farci dirigere o se vogliamo prendere in mano noi le redini della nostra rappresentazione, della nostra vita.
A volte essere se stessi non paga. No. Ma forse dobbiamo accettare la sconfitta e andare avanti? O dobbiamo, invece, rivedere le priorità, compiere le trasformazioni necessarie, cambiare rotta, drogare la nostra essenza?
Fino a ieri ero convinta che magari ne sarebbe valsa la pena…O no?
Non sono poi così sicura che fingere di essere qualcuno migliore possa cambiare situazioni già decise, già passate. O che possa migliorare il futuro.
Forse è meglio rimanere se stessi, almeno, se si deve ricostruire qualcosa, sarà solo un palazzo, quello perduto. E non l’intera città, che tanto ci ha amati così com’eravamo….
Questo post è per voi, che in un modo o nell’altro capite le mie parole meglio di chiunque altro (forse), e questo perchè ci siete passate o ci state passando…
Grazie per come siete, grazie perchè sapete ascoltare, ridere, scherzare, consolare…amare.
Questo post è nato da mille conversazioni, frutto di momenti che vanno avanti da tempo. Da sempre, nel caso di Giò, di Mari… Da tre anni (nonostante tutto), per Ale… Da un intensissimo anno, per Vale e Lucia.
Grazie di tutto. Spero di riuscire anche io ad essere per voi ciò che siete per me.
Questo post nasce per tutte le insicurezze che quotidianamente vi attanagliano, ci attanagliano.
Perchè a volte due parole possono illuminare il buio che ci coglie…
Dedicated to Gio, Mary, Vale, Lucia, Ale… [19.04.10]